Mario Sillani Djerrahian

THE END OF TIME (inspired by the music of Olivier Messiaen)

“ . . . I deeply admire nature. I believe it surpasses us infinitely, and there is a lot to be learned; I love birds in particular, so I have interrogated their song, I have played ornithologist. In my music there is a juxtaposition of the Catholic faith, the myth of Tristan and Isolde, and the enormous use of the song of birds.” (Olivier Messiaen) While getting ready to listen to Quatuor pour la fin du temps, one can discover, with great surprise, that the piece was composed and performed in the German concentration camp where the composer was a prisoner. This happened at Görlitz in Poland during the 1940–41 winter. Some questions immediately come to mind: how is it possible that a Lager officer, that is, the established power at the time, allowed Messiaen the freedom to do this? Why did the composer abstain from writing a mazurka or a waltz? How did he manage to stay lucid and coherent despite the cold and deprivation? The fact remains, Messiaen composed a piece that must not have been easy to listen to in that period, later stating that this gave him the opportunity to escape from the horror of imprisonment. Messiaen performed the quartet before soldiers and prisoners on January 15, 1941, on battered old instruments, together with three musicians dressed in rags, their clogs sinking deep into the snow. Messiaen himself was at the piano, whose keys failed to spring back once depressed; Jean Le Boulaire was at the violin, Étienne Pasquier at the cello and Henri Akoka, Jewish wind player, at the clarinet. At the end of the concert, after an astonished silence, the thundering applause was liberating in more ways than one for the proud Messiaen. Today we are left with the beguiling beauty of this composition. The titles of the movements give us a clear indication of the religious character of the music: “Vocalise,” “for the Angel Announcing the End of Time,” “Praise to the Eternity of Jesus,” etc. If for Messiaen sacredness equals religiousness, if his inspiration comes from Scriptures, for me sacredness is the meaning of nature that I have built into my works, its inspiration also coming from other works of art I have seen and heard. Why, then, not interpret the Quartet for the End of Time through my medium, photography? Interpreting does not mean describing the music through a photography that flatters or panders. I assemble images that belong to my world, to my being. The photographs of my landscape take the form of stories that soon find an end, both in time and in space. For Messiaen, the end of time is eternity. He said: “In no way did I wish to create a commentary to the Apocalypse of John, but simply to justify my desire for the cessation of time.” “A music that lulls and sings, that is new blood, an eloquent gesture, an unknown scent, a restless bird; a music of the colored-glass windows of churches, a vortex of complementary colors, a theological rainbow.”

In this last sentence, I replace “music” with “photography,” “windows” with “karst,” and “theological” with “things that exist.” The result: “A photography that lulls and sings, that is new blood, an eloquent gesture, an unknown scent, a restless bird; a photography of the karst landscape, a vortex of complementary colors, a rainbow of things that exist.” Here is my work.

Sillani

LA FINE DEL TEMPO (ispirato alla musica di O. Messiaen)

 “…ammiro profondamente la natura. Credo che essa ci superi infinitamente e c’è tutto da imparare; amo gli uccelli in particolare, così ho interrogato il loro canto, ho fatto l’ornitologo. Vi è nella mia musica questa giustapposizione tra la fede cattolica, il mito di Tristano e Isotta e l’eccessivamente grande uso del canto degli uccelli. ” (Olivier Messiaen)

Accingendosi ad ascoltare “Quatuor pour la fin du temps” di Olivier Messiaen si scopre con grandissima sorpresa che il brano era stato scritto ed eseguito in un campo di concentramento tedesco ove il musicista francese era tenuto prigioniero. Succedeva a Görlitz in Polonia nell’inverno 1940-41. Sorgono subito delle domande, com’era possibile che un ufficiale del lager, cioè il Potere di quel momento, abbia concesso e voluto dare la libertà a Messiaen di realizzare questa cosa? Com’è stato che l’autore si sia astenuto dallo scrivere una mazurka o un walzer? Come è riuscito a mantenersi lucido e coerente nonostante il freddo e la fame? Fatto sta’ che Messiaen compone un brano, di non facile ascolto per quel periodo, asserendo che ciò gli aveva dato la possibilità di evadere dalla bruttura della prigionia. Esegue il quartetto davanti ai soldati e ai prigionieri il 15 gennaio del’41, assieme a tre musicisti vestiti di stracci, con gli zoccoli che affondavano nella neve, con strumenti in pessime condizioni. Lui stesso al piano, di cui i tasti una volta premuti restavano abbassati, con Jean le Boulaire violinista, con Etienne Pasquier violoncellista e con Henri Akoka un clarinettista ebreo. Alla fine del concerto, dopo un lungo silenzio di stupore, ottiene applausi entusiastici, liberatori, di rivalsa, di orgoglio. Oggi a noi resta la bellezza avvolgente di questa composizione. Dai titoli dei movimenti si evince il carattere religioso di questa musica: Vocalizzo per l’Angelo che annuncia la fine del Tempo, Lode all’Eternità di Gesù, ecc. Se per Messiaen la sacralità è la sua religiosità, se l’ispirazione gli viene dalle Scritture, per me il sacro è il significato della natura che ho costruito nelle mie opere, e l’ispirazione mi viene anche da altri lavori d’arte visti e sentiti, al cinema, a teatro, leggendo poesie, o dalla rituale visita ai Musei. Perché allora non interpretare il “Quartetto per la fine del Tempo” con il mio mezzo, che è la fotografia? Interpretare non è descrivere la musica con una ruffiana fotografia. Io assemblo immagini che appartengono al mio mondo, al mio essere. Le fotografie del mio paesaggio si compongono in forma di storie che trovano presto una fine, sia di tempo che di spazio. Per Messiaen la fine del tempo è l’eternità. Ha detto: “Non ho voluto per niente realizzare un commento all’Apocalisse di Giovanni ma semplicemente giustificare il mio desiderio di cessazione dei tempo“. “Una musica che culla e che canta, che è nuovo sangue, un gesto eloquente, un profumo sconosciuto, un uccello senza riposo; una musica delle vetrate colorate delle chiese, un vortice dì colori complementari, un arcobaleno teologico.”

Di quest’ultima frase sostituisco ”fotografia” a “musica“, “paesaggio carsico” a “Vetrate” e “cose che esistono” a “teologico“. Ottengo: “Una fotografia che culla e che canta, che è nuovo sangue, un gesto eloquente, un profumo sconosciuto, un uccello senza riposo; una musica del paesaggio carsico, un vortice di colori complementari, un arcobaleno di cose che esistono. ” Ecco il mio lavoro.

Sillani


Quest’ultimo lavoro (2019) di Mario Sillani Djerrahian, origine armena e residente a Trieste, richiama nel titolo, come in un gioco di specchi, una serie della fine degli anni Novanta: Dove comincia il paesaggio (1998). I due elementi che disegnano idealmente l’arco di questi  ventanni sono dunque il tempo e il paesaggio.  Una sorta di circolarità che si rinnova ogni volta che viene osservato quanto vi è intorno. Per Sillani l’intorno è sempre la natura, non quella antropizzata, ma quella priva di presenze umane del Carso. La fotografia, perché questo è il mezzo preferito dall’artista, è utilizzata in maniera particolarissima, per questa ragione sarebbe improprio definire Sillani un fotografo, essendo egli,  fin dagli inizi della sua ricerca fra gli anni 60/70, un artista visivo che privilegia questo mezzo utilizzandolo in una maniera molto lontana da ogni senso di reportage, sensibile invece ad un approccio concettuale. Le immagini dell’artista triestino sono sempre concepite e realizzate su un registro che tiene insieme  la riflessione sulle peculiarità del fotografico, per proporre una visione della natura che oscilla fra il dettaglio della scabrosità di una pietra erosa dagli eventi atmosferici e, come nel caso di questi ultimi lavori, un microcosmo di ghiaccio, neve, roccia. Una fotografia accurata, ravvicinata, e allo stesso tempo, per le caratteristiche dei soggetti ripresi, ai limiti dell’informale.  Le stesse modalità di esposizione delle immagini costituiscono delle vere e proprie installazioni di più elementi sia a parete che, non di rado, nello spazio. La fine del tempo però apre ad una ulteriore possibilità di lettura dell’opera dell’artista triestino, figura storica della sperimentazione videofotografica . Una possibilità data dall’essere quest’ultima serie di lavori in esplicita relazione con la musica, liberamente ispirandosi alla composizione Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen, concepita e realizzata durante la sua detenzione in un lager nazista, dove è stata eseguita con la collaborazione di altri valenti musicisti, prigionieri di guerra ivi detenuti. La composizione di Messiaen, e così le immagini di Sillani, sono pervasi da un senso di trattenuta, quanto intensa, sacralità. L’intero lavoro di Sillani si struttura come una sorta di partitura visiva del paesaggio. Come ha scritto l’artista a proposito di questa  sua ultima serie, modificando lievemente un pensiero del compositore: “Una fotografia che culla e che canta, che è il nuovo sangue, un gesto eloquente, un profumo sconosciuto, un uccello senza riposo;  una musica del paesaggio carsico, un vortice di colori complementari, un arcobaleno di cose che esistono”.
Riccardo Caldura
Canto 1 dal 1° Movimento, fine-art print, cm 53×96
Tema 3 dal 2° Movimento, fine-art prints, cm 50×50 each
Canto dal 3° Movimento, fine-art print, cm 100×135
Tema 1 dal 4° Movimento, fine-art print, cm 110×110
Canto 1 dal 7° Movimento, fine-art print, cm 80×110
Tema 1 dal 5° Movimento, fine-art prints, cm 30×45 each
Canto 2 dal 7° Movimento, fine-art print, cm 60×110
Temi dal 6° Movimento, fine-art prints, cm 233×311

8. Louange à l’Immortalità de Jesus (Praise for the immortality of Jesus)
Long violin solo.
Jesus is the Word made flesh who is resurrected immortal. He rises upward, ecstatic and slow.
O.Messiaen
 
My paradise is the hill behind my home. My way of being real.
Sillani
Canto dall’8° Movimento, fine-art print, cm 75×108
 

Mario Sillani Djerrahian
La Fine del Tempo
A cura di Riccardo Caldura
ARCA
Arte Contemporanea per una Comunità Attiva
Atrio Monumentale ASP-ITIS
Azienda di servizi alla persona
via Pascoli 31, Trieste
Periodo: 8 febbraio / 22 marzo 2020
Orario di apertura: tutti i giorni dalle 14 alle 19
info@arcacontemporanea.it
www.arcacontemporanea.it
www.sillani.eu